Come ha origine la nostra sofferenza?

La radice di tutti i condizionamenti è credere che, così come siamo, non andiamo bene. Mancano quella profonda accoglienza di noi stessi, quell’essere a proprio agio e quella tranquillità del cuore (“il centro dell’Essere”, come lo intendono i grandi Maestri (Buddha, Gesù, ecc.), che ci permettono di vedere la bellezza che è in noi e di scoprire chi veramente siamo.

Fin da bambini, nella maggior parte dei casi, siamo portati a credere che così come siamo non andiamo bene. Potremmo dire, infatti, che la pratica più diffusa di educazione, tramandata da generazioni, si basa proprio sul “principio di correzione”:

  • del comportamento (es.: smettila, non toccare)
  • dell’atteggiamento (es.: lo fai apposta, chi ti credi di essere
  • del linguaggio (es.: non ribattere, basta coi lamenti)
  • del pensiero, delle emozioni e via dicendo.

«Quanto più grande sarebbe la vostra vita 

se il vostro ego fosse più piccolo»

G. K. Chesterton

Vige il presupposto, quindi, che c’è sempre qualcosa da correggere, in nome di un’etichetta e di un costume sociali che stabiliscono cosa è bene o si deve fare, dire, pensare, sentire, avere, essere e cosa invece non lo è.

E così accade che, proprio in virtù dei condizionamenti ricevuti durante l’infanzia, sviluppiamo dei modi di essere che, piuttosto che il frutto di una libera e piena espressione del nostro vero “Io” (la nostra “Anima”, la nostra “Essenza”), sono più delle reazioni a quei condizionamenti, mosse da rabbia, paura o tristezza, dal sentimento di ribellione o ancora dal desiderio di compiacere e, quindi, espressioni di noi pur sempre condizionate. É sufficiente osservare, ad esempio,  i modi e il linguaggio coi quali  ci rivolgiamo a noi stessi, per rendersi subito conto di quanto oggi siamo ancora vittime inconsapevoli di quei condizionamenti (es.: “Quanto sono stato stupido”, “Sono proprio un incapace”, “Non imparo mai”). Si tratta senza dubbio di un modello giudicante, accusatorio e tutt’altro che amorevole.

Se poi a tutto questo aggiungiamo anche l’abitudine a confrontare continuamente le nostre vite con quelle di altri o addirittura con immaginari perfetti, spesso veicolati dai media e in genere dalla comunicazione di massa, ecco che facilmente potrebbe crescere in noi  la convinzione di essere incapaci, inadeguati, imperfetti, sbagliati, di non essere abbastanza e così via e, per essere socialmente accettabili, di dover distogliere l’attenzione da chi veramente sentiamo di essere, per conformarci alle aspettative esterne, fino a creare una errata percezione di noi, un senso illusorio di identità.

É così che nasce l’Ego o Sè Illusorio, separato dal nostro vero “Io”. E più siamo identificati con l’ego, quasi sempre totalmente inconsapevoli di esserlo, più siamo destinati a sentirci a disagio, insoddisfatti, frustrati, non meritevoli e infelici. Quando non siamo più in grado di sostenere tutto questo, inizia il nostro risveglio ed entra una nuova dimensione nella nostra vita, quella della consapevolezza. A partire da quel momento, comincia il viaggio alla ri-scoperta della nostra Essenza e, per rendere possibile questo processo, abbiamo bisogno di conoscere i meccanismi attraverso i quali l’ego agisce, di vederlo all’opera in noi e negli altri, di attivare il nostro Centro Consapevole, per disidentificarsi da esso e riscoprire la gioia dell’Essere.
Come dice Chery Huber, scrittrice e insegnante di buddhismo zen, nel suo libro «Non è obbligatorio soffrire»: «Non ha molta importanza cosa avete pensato, creduto, sentito o fatto in precedenza. Questo è un nuovo giorno».

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